Caricamento in corso

L’Islam “moderato” non esiste

L’Islam “moderato” non esiste

A far paura non deve essere solo l’estremismo religioso professato dai terroristi musulmani, bensì pure la loro “moderazione” culturale, religiosa ma, soprattutto, sociale rispetto alla donna.

In Pakistan, per fare semplicemente un esempio, uno studio rivela che il 71% dei bambini sotto i due anni ricoverati in ospedale sono maschi. Le femmine, se si ammalano, ricevono molte meno cure.

Spesso i genitori scelgono di mandare a scuola i figli maschi perché le femmine sono più utili in casa nei lavori domestici. In Afganistan, Burkina Faso, Mali, Nepal, Nigeria e Yemen, circa tre quarti delle ragazze non hanno completato alcun tipo d’istruzione; in Bangladesh, Guinea, Marocco e Senegal la percentuale supera la metà.

Quello dei matrimoni e delle gravidanze precoci è un altro grave problema: in Bangladesh il 72% delle ragazzine tra i 15 e i 19 anni sono già sposate; la mortalità da parto in questa fascia di età è doppia rispetto alla media. Si verifica spesso una profonda discrepanza tra i diritti garantiti a livello politico e quelli effettivamente praticati nella convivenza civile. Ciò è tanto più vero per le donne che ancora in molte realtà, soprattutto nel Sud est asiatico, imparano a loro spese che i diritti politici significano in realtà diritti dei membri maschi della società.

La condizione della donna è una delle realtà dell’Islam che più sconcertano parte dell’Occidente. Dal punto di vista religioso non sembrano esserci problemi: per la legge islamica la donna è ontologicamente uguale all’uomo. Ha gli stessi diritti, medesimi doveri, non c’è per essa alcuna discriminazione nella vita eterna che l’attende dopo la morte. I problemi, invero, cominciano quando dal campo religioso si passa a quello sociale.

Il Corano stabilisce:

«Gli uomini sono preposti alle donne perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle.»

Le donne sono private persino dei fondamentali diritti umani e civili:

  • non godono della libertà di spostamento;
  • della libertà di espressione e di parola;
  • non possono procedere negli studi;
  • non possono fare carriera;
  • è vietato ricoprire cariche o posizioni di responsabilità in campo civile o religioso.

Inoltre, non possono fare attività ormai scontate in Occidente, per esempio non possono:

  • votare;
  • guidare la macchina;
  • testimoniare in tribunale;
  • ereditare beni;
  • divorziare o abortire…

Non possono nemmeno decidere il proprio destino né quello dei propri figli e sono totalmente sottomesse all’uomo, da cui possono venire ripudiate (e non viceversa). Sono eventualmente costrette a convivere con altre mogli scelte dall’uomo e sono obbligate a coprire il proprio corpo e spesso anche il viso. Nell’ambito islamico si è diffuso generalmente l’uso del velo anche perché la donna non doveva mostrarsi in pubblico e quando lo faceva si doveva coprire il più possibile.

L’unica “scelta” che la donna potrà fare è usare una buona varietà di veli: può coprirsi semplicemente i capelli o anche il viso (chador iraniano), oppure coprirsi completamente tutto il capo (burqa afgano).

Numerosi sono i passi del Corano che fanno riferimento alla condizione femminile. Tali passaggi sono soggettivi, ogni società musulmana la interpreta alla sua maniera. C’è chi interpreta il Corano considerando la supremazia dell’uomo sulla donna, altri sono orientati verso un miglioramento progressivo della condizione femminile rispetto alla società araba pre-islamica.

Ma molto deve ancora essere fatto, e il sacro testo islamico non aiuta poi molto. La sura IV del Corano, al versetto 34 cita:

«Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono per esse i loro beni. Le donne virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande»

Secondo alcuni, tale testo enuncerebbe il principio di superiorità dell’uomo sulla donna. Secondo altri, esso si limita a enunciare che agli uomini è dato l’obbligo di provvedere al sostentamento economico della famiglia, mentre alle donne è affidata la casa. Ciò che appartiene alle donne lo possono usare per sé, mentre gli uomini il loro denaro lo devono usare principalmente per la famiglia.

Precedentemente il Corano afferma (IV, 19):

«Credenti! Non vi è lecito essere eredi delle proprie mogli contro la loro volontà. Nemmeno costringerle per strappar loro parte di ciò che avete donato loro, a meno che esse non abbiano commesso una turpitudine manifesta.»

Questo significa che la donna, finché rimane in famiglia, è sottoposta all’autorità del padre e dopo, quando si sposa, passa sotto quella del marito.

Naturalmente, nel mondo islamico le donne non vivono una condizione di libertà uguale in tutti i Paesi, per cui per parlare dei diritti delle donne islamiche occorre fare delle distinzioni.

In alcuni Stati le donne hanno ormai ottenuto parecchi privilegi una volta destinati quasi esclusivamente agli uomini, ma negli Stati più tradizionalisti e in quelli dove le norme del Corano sono interpretate e applicate in maniera più rigida ed estrema, le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di libertà, e sono considerate a un livello inferiore rispetto all’uomo.

Il tradizionale conservatorismo delle società arabo-islamiche era stato scalfito dopo l’indipendenza da alcune riforme, soprattutto in Egitto, nei paesi del Maghreb e in Iran, di cui hanno beneficiato solamente le donne ricche e istruite delle grandi città. Per altre realtà la situazione è cambiata poco ed è persino peggiorata con il ritorno dell’integralismo negli ultimi anni che ha imposto alla donna vecchi e nuovi vincoli.

Share this content:

Commento all'articolo